Con il XV secolo, nelle zone italiane andò trasformandosi il tessuto plebanale con l’affrancamento delle chiese rurali dalle pievi, e la loro assunzione dell’autonomia parrocchiale. La Serenissima, che dominava i territori del Nord Italia, favoriva la creazione di nuove realtà religiose, in modo da poter siglare con loro nuove alleanze locali.
L’organizzazione plebanale aveva retto per tutto il Medioevo, garantendo il controllo del territorio con insediamenti umani sparsi nella campagna, il diritto di rendita e di avere un cimitero, che via via anche le chiese parrocchiali avevano ottenuto, non senza tensioni tra le vecchie e le nuove pievi, e tra le vecchie e le nuove realtà. La necessità di avere una parrocchia rurale era sentita dal popolo, che così non doveva sottoporsi a lunghi cammini per poter arrivare alla pieve, riconosciuta come punto di riferimento religioso vero e proprio e dove si celebravano i riti sacri.
La mentalità borghigiana andava prendendo sempre più piede, così le chiese parrocchiali rurali acquisirono sempre maggiore potere, relegando la pieve a luogo vicariale secondario.
L’attaccamento alla propria terra da parte dei contadini nella società rurale italiana, si identificò sempre più con l’attaccamento alla propria parrocchia e diventava determinante ciò che si sentiva predicare dal pulpito, per consolidare la propria fede.
In occasione delle epidemie, in mancanza di conoscenze mediche e con una Medicina non ancora così evoluta da dare spiegazioni chiare e certe, si cercava di scampare a sofferenze e morte votandosi ai santi, con l’aiuto della fede e della preghiera. E quando il pericolo si allontanava, spesso si rispondeva alla grazia ottenuta della vita con un segno tangibile dell’intercessione divina.
A seconda della possibilità economica, si costruiva una cappella, una chiesa oppure una santella, ai margini delle campagne, del proprio luogo di lavoro e di residenza. Era il modo per testimoniare ai contemporanei ed ai posteri che il Divino aveva guardato benevolo ai propri figli, ed era la garanzia che, se in futuro fosse stato ancora necessario, si poteva continuare a chiedere l’intercessione.

I santi più venerati erano, infatti, taumaturghi e tra i principali troviamo San Rocco, protettore contro le pestilenze. Il santo, nato a Montpellier tra il 1346 e il 1350, profondamente cristiano, donò i suoi averi ai poveri prendendo a modello San Francesco d’Assisi, poi s’incamminò in pellegrinaggio verso Roma durante l’epidemia di peste del 1367-68. Già in terra italiana, Rocco iniziò a prestare soccorso ai sofferenti come aveva imparato durante la fase pestilenziale che aveva colpito la Francia anni prima.
Arrivato ad Acquapendente nel luglio 1367, su invito di un angelo inviatogli da Dio, Rocco cominciò a benedire gli appestati con il segno della croce e, toccandoli, li guariva. In poco tempo l’epidemia finì. Continuando la strada verso Roma lungo la Via Francigena, Rocco proseguì la sua attività taumaturgica fino alla guarigione di un cardinale, avvenuta a Roma. L’alto prelato presentò il giovane al Papa, quindi Rocco riprese il cammino per ritornare a Montpellier.
Lungo la strada di ritorno, intervenne ancora presso paesi e città in favore di malati di peste che, toccati da lui, subito guarivano. Sempre in terra italiana, Rocco si ammalò di peste a sua volta, venne scambiato per una spia e imprigionato. Volendo restare tranquillo, non rispose mai alle domande e si lasciò morire in carcere.
Sconvolta per la morte di un sicuro innocente, la popolazione non dubitò della sua santità quando venne ritrovata accanto alla salma una tavoletta con scritto: “Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello”.
Rocco venne sepolto a Voghera, sembra nel 1379. A lui si rivolsero migliaia di persone durante le molte pestilenze ed epidemie che si susseguirono e di certo San Rocco è uno dei santi più invocati. Nelle santelle a lui dedicate, così come nelle pale d’altare nelle chiese, viene spesso rappresentato come un giovane pellegrino con la mantellina, la conchiglia per dissetarsi e un bastone da viaggio; accanto ha un cane che gli porta una pagnotta, mandata dal nobile Gottardo Pallastrelli da lui convertito. Spesso ha una gamba piagata.

I contagi si erano susseguiti nelle campagne italiane a partire dal 462, con un sempre maggior numero di vittime per vari mali, soprattutto peste e colera. Divenne famosa la “peste nera” del 1348, raccontata da Boccaccio, fino all’inspiegato “mal del zucchetto” del 1478. I malati venivano portati nei lazzaretti dove venivano curati dai medici pagati dal Comune. Questo accadde a Brescia, ad esempio, dove il “mal del zucchetto” scoppiò in città e ben presto si diffuse in campagna, dove la gente fuggiva per cercare riparo dal terribile morbo, che si manifestava con febbre alta, mal di testa e morte nel giro di pochi giorni. Sembra che i morti nel territorio di Brescia ammontassero a 30mila, su un popolazione complessiva di 230mila persone: il numero delle santelle, delle edicole e di altri esempi di devozione e culto dedicati a San Rocco in quel periodo è stato molto alto.
La devozione comune a molte comunità era poi quella alla Beata Vergine, con la diffusione delle “Madonnelle”, come vengono chiamate a Roma, edicole sacre diffuse in ogni quartiere. Nelle santelle possiamo trovare statue della Madonna, oppure crocifissi, il Sacro Cuore, la Sacra Famiglia, Sant’Antonio da Padova, dipinti interni o sulle facciate esterne, ex voto. Sono segni di devozione popolare per molto tempo caduti nell’oblio, ma che in molti luoghi sono stati oggetto di recupero storico-architettonico per il profondo significato che, appunto, hanno avuto nel tempo e nel tessuto sociale. In alcuni casi, troviamo anche santelle per la devozione privata, in parchi o giardini, sui muri delle case. Non sempre edicole e santelle religiose venivano edificate per lo scampato pericolo alle epidemie, ma anche alle guerre, alle occupazioni, ai sacchi delle soldataglie.
Accanto alle credenze religiose supportate dalla fede nel dono della capacità di guarigione, come già si legge in San Paolo nella Lettera ai Corinzi (“A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune […] ad un altro il dono di fare guarigioni per mezzo dell’unico Spirito”), ci si è sempre affidati anche ai “guaritori” locali, per i quali non ci sono state erezioni di luoghi di devozione. Erano uomini e donne capaci di utilizzare erbe e medicamenti che servivano a guarire mali comuni, ma anche capaci di trovare rimedi osservando la natura e usandola al meglio. Non dimentichiamoci che è stata una guaritrice forse la prima ad usare inserire croste di peste bubbonica in appositi tagli per ottenere una rudimentale immunizzazione, il principio che elaborò scientificamente Pasteur tempo dopo.
Alessia Biasiolo