Duecento anni di buona cucina

Nell’agosto 1820, duecento anni fa, nacque Pellegrino Artusi, l’autore de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, caposaldo della letteratura gastronomica italiana, datato 1891.

Pellegrino Artusi, nato nell’allora Stato Pontificio, aveva ricevuto studi irregolari perché il padre lo voleva avviare all’attività familiare di commerciante e, secondo lui, per quel lavoro non servivano tanti studi. Artusi non fu d’accordo con quel punto di vista, rendendosi invece conto che un’istruzione solida e ampia “in qualunque caso è sempre giovevole”. Quindi, pur vendendo stoffe e spezie, Pellegrino viaggiò e si istruì.

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Monumento funebre di Pellegrino Artusi nel cimitero di San Miniato al Monte (Richardfabi~commonswiki)

A metà secolo, la famiglia Artusi si trasferì a Firenze, continuando a vendere stoffe, anche di seta, raggiungendo agio e ricchezza. Nel giro di pochi anni, Pellegrino decise di ritirarsi a vita privata per godere delle sue fortune ma, soprattutto, per potersi dedicare a ciò che amava di più: gli studi classici e le Belle Lettere. Scrisse testi su autori italiani, ma il suo diletto era la cucina e così nacque il suo capolavoro indiscusso.

In Italia l’Artusi è citato come Dante, perché nel suo libro sono raccolte le tradizioni culinarie di un Paese ricco e complesso in tal senso, ma soprattutto si tratta di un volume scritto bene, in italiano semplice e puro.

La grande operazione di Artusi fu proprio di scrivere in Lingua Italiana per un Paese che si era unificato territorialmente quasi del tutto, ma viveva di lingue differenti, come erano diversi i territori politici che lo componevano fino a pochi anni prima. Pertanto leggere un libro di ricette e di arte della buona tavola scritto in modo fluido e facilmente leggibile, fece sì che intorno alla tavola, veramente, ci si unisse.

Altra operazione interessante di Artusi fu quella di non voler creare una cucina nazionale, intorno a dei piatti specifici e tradizionali, come aveva fatto la Francia con i suoi grandi cuochi. Durante la Belle Epoque, il grande cuoco Georges Auguste Escoffier che, con Césare Ritz, avviò il connubio tra alta ristorazione e alberghi di lusso, ridusse gli ornamenti della gastronomia francese, ma la arricchì in sontuosità, con paté, terrine, soufflé, potage, molte salse, finiture dei piatti con burro e panna. La “grande cucina francese” venne detta “classica” o “internazionale”, diffusa negli alberghi prestigiosi, sulle navi da crociera e i treni di lusso, aiutata nella sua concretizzazione dall’invenzione e diffusione degli elettrodomestici come il frigorifero, il forno a gas, la gelatiera.

Il termine gastronomia, nato dai termini greci gaster e nomia, cominciò a non indicare più solo le “leggi dello stomaco”, ma assunse sempre più un significato ampio, in cui l’abbinamento degli alimenti e la loro conoscenza anche chimico-fisica avevano un’importanza pari alla capacità di preparazione delle pietanze. Artusi, invece, nel suo lavoro raccontava soltanto la cucina italiana, con pietanze ricche per ogni angolo del Paese e, soprattutto, così legate alla singola realtà che sarebbe stato impossibile darne regole uniformi in tutto il territorio. Questa fu la fortuna del libro, molto amato e punto di riferimento per la gastronomia, oltre che tradotto in molte lingue straniere. Ancora oggi, con i tanti famosi chef che popolano il nostro immaginario e il nostro quotidiano, Artusi è un punto di riferimento proprio per il suo sapere non omologato e rispettoso del particolare.

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Frontespizio del libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, 1910

Inoltre Artusi, in modo assolutamente innovativo, per il suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, si fece inviare contributi da lettori e lettrici che gli fornirono ben 475 ricette per la prima edizione, diventate 790 per l’ultima di vent’anni più tardi, rifinita nei dettagli e negli aggiustamenti.

Nella sua opera, Artusi identificò il ruolo centrale della pasta nell’alimentazione italiana, pasta che avrà un ruolo essenziale nella Dieta Mediterranea e nella sua codificazione, e riconobbe il lato positivo di quel “fai da te” e della personalizzazione che metteranno le basi per la grande gastronomia italiana, conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo.

Ogni ricetta doveva comprendere gli usi caratteristici, possibilmente mescolati, della varie aree regionali italiane. Ad esempio, secondo il ricettario di Artusi, i maccheroni si preparano con “pasta, pomodori sbucciati tagliati a pezzi e nettati dai semi, basilico, sale e pepe” provenienti dal Sud, ai quali vanno aggiunti gli ingredienti del Nord, pertanto i maccheroni vanno poi conditi con burro crudo e parmigiano. Per cucina nazionale italiana, quindi, si intende oggi una cucina più semplice di quella classica, composta però da alimenti della tradizione locale e offerta, di solito, da ristoranti e trattorie piuttosto informali.

Alessia Biasiolo

 

 

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