
Cinquecentotrenta giornalisti uccisi tra il 2012 e il 2016. A pagare il prezzo più alto Nord-Africa e Medio Oriente (151) e Sudamerica (125). L’Europa non è immune da questa tragedia. Basti pensare all’omicidio di Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese che indagava sugli oscuri legami tra politica e finanza e di Jan Kuciak, assassinato lo scorso 22 febbraio insieme alla sua fidanzata. Il cronista stava conducendo un’inchiesta sulle collusioni tra esponenti politici, imprenditori italiani e ‘ndrangheta nella repubblica slovacca.
Se da un lato quasi la metà della popolazione mondiale (48%) ha accesso a internet, dall’altro crescono le restrizioni e le minacce. Nel 2016 sono stati 56 i blocchi totali della rete e con il crescere delle piattaforme mondiali, grazie alla diffusione dei social, sono aumentati anche gli attacchi ad opera di leader politici e di governi contro “i cani da guardia”, ovvero i giornalisti, un presidio di legalità che dà sempre più fastidio ai potenti e alle organizzazioni criminali.
Il quadro che emerge dal rapporto Unesco (World Trends in Freedom of Expression) presentato in occasione del World Press Freedom Day 2018, la giornata internazionale della libertà di stampa che da 25 anni si celebra il 3 maggio, offre un panorama a tinte fosche. Se da un lato si evidenzia un incremento dei paesi che hanno accesso all’informazione, passati da 90 nel 2011 a 112 nel 2016, dall’altro emerge come la galassia editoriale sia ancora lontana dal raggiungere una dimensione di garante in gran parte delle aree del mondo. La continua chiusura dei giornali, quasi tutti in vita con i finanziamenti pubblici, e le torture, psicologiche e fisiche, esercitate sui giornalisti, sono all’ordine del giorno. Da qui a parlare di svolta, quindi, il cammino è ancora lungo.
Del rapporto fra stampa e potere, tra giustizia e informazione, si sta discutendo proprio oggi ad Accra, in Ghana, dove l’Unesco ha riunito oltre settecento tra giornalisti, accademici, rappresentanti di organizzazioni non governative per discutere della libertà di stampa a livello globale. Tra i temi al centro del confronto, le molestie sessuali, la censura via internet, i protocolli di autodifesa e la protezione dei dati digitali.
Il rapporto Unesco fa “il paio” con quello diffuso alcuni giorni da Reporter sans Frontieres che stima in 65 gli operatori dell’informazione assassinati nel 2017 mentre nei primi quattro mesi di quest’anno sono già 29 le vittime, di cui 23 giornalisti, 4 citizen journalist e 2 collaboratori.
Turchia, Egitto, Messico, Iran e Cina, sono i paesi dove è più elevato il numero di attentati e di arresti. Un vero e proprio inferno anche per attivisti dei diritti umani e blogger, la cui presenza è avvertita sempre più come un pericolo. Solo In Messico, dal 2000 ad oggi, 114 giornalisti hanno perso la vita per raccontare la guerra al narcotraffico e svelare gli intrecci che alimentano la corruzione politica. Altri venticinque risultano “scomparsi”. La Turchia ha conquistato il titolo, poco lusinghiero, di Paese con più arresti di giornalisti al mondo. Un terzo dei professionisti dell’informazione imprigionati a livello globale, si trova nelle prigioni turche. Questo dato, unito alla chiusura di 160 agenzie, è un inequivocabile segnale della forte limitazione della libertà di stampa messo in atto dal Governo turco. Amnesty International da tempo promuove una petizione per chiedere la liberazione immediata di oltre 120 giornalisti incarcerati a seguito delle repressioni post-golpe del 2016.
In Italia, ha ricordato il presidente della FNSI, Beppe Giulietti, sono diciannove i giornalisti e le loro famiglie costrette a vivere sotto scorta “per le minacce ricevute da mafia, camorra, gruppi di estremismo politico. Chi indaga e scrive sugli appalti truccati, sulle discariche abusive, sulle alleanze tra pezzi dello Stato e le mafie si ritrova nel mirino, e non solo in senso simbolico”.
In Italia, Articolo 21, associazione che aggrega esponenti del mondo della comunicazione, della cultura e dello spettacolo, insieme, tra gli altri, ad Amnesty International, Libera Informazione, FNSI e l’Ordine dei Giornalisti hanno promosso una “Scorta mediatica”, non armata, di militanza e di sostegno ai giornalisti minacciati. Presenta esposti alle corti di giustizia internazionali, manifesta in piazza a sostegno della libertà d’informazione e sotto le ambasciate dei paesi che si macchiano di reati contro la stampa e violano i diritti umani, assiste in tribunale i giornalisti chiamati a testimoniare in udienze assai delicate.
Di questo e del mondo dell’informazione nelle sue varie declinazioni, parleremo nel corso di uno speciale sul Festival Internazionale del Giornalismo svoltosi a Perugia, che sarà pubblicato sul prossimo numero di Tribuna Stampa 2.0 PIXEL, il periodico di informazione della Federazione Nazionale Giornalisti Pubblicisti Italiani.
Claudio Ravel