E’ circolata di recente nell’ambito del Consiglio Nazionale dell’Ordine la bozza, qui sotto riportata, di un documento indicatore di equità che “ritiene opportuno indicare un percorso finalizzato alla concretizzazione del principio costituzionale”. Anche se al momento questa bozza non è stata dibattuta in CNOG, questa offre lo spunto per aprire un dibattito in merito all’equo compenso per l’attività giornalistica, in particolare per quella dei pubblicisti.
Questa la bozza.
L’art. 36 della Costituzione dà al lavoratore il diritto “ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro” svolto. Quando un giornalista, professionista o pubblicista che sia, è legato all’editore da un contratto di lavoro o di collaborazione, eventualmente definito da un’organizzazione sindacale di categoria, o da un incarico professionale definito dallo stesso professionista, il compenso per l’attività giornalistica è inteso come equo se conforme agli accordi contrattuali o all’incarico professionale, se questi non sono soggetti a clausole vessatorie.
Per l’attività giornalistica autonoma, un giornalista che, non è legato contrattualmente con un editore e che magari, come pubblicista, oltre all’attività giornalistica, svolge anche un’altra attività, l’equo compenso, proporzionale alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto, come può essere determinato?
E’ opportuno aprire un dibattito al proposito?
In questo caso è certo opportuno cercare di definire il quadro normativo al quale oggi riferirsi.
Il giornalista, ai sensi dell’art. 2233 del Codice Civile ha diritto, nei casi previsti dallo stesso articolo, di ricorrere al giudice per vedersi riconosciuto un equo compenso.
Il primo comma di quest’articolo testualmente recita:
“Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, [sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene]“
Alcuni ritengono che l‘inciso fra parentesi quadra, “[sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene]”, debba ritenersi abrogato in quanto le norme corporative sono state soppresse conR.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.
Altri ritengono che tali funzioni siano state devolute in virtù dell’art. 1, D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382 agli Ordini ed ai Collegi professionali.
Quel che sembra certo oggi è che l’art. 9 del D.L. 1/2012 ha abrogato le tariffe professionali ed ha stabilito che per la liquidazione giudiziale dei compensi il giudice dovrà fare riferimento a parametri ministeriali, fissati con decreto per le diverse categorie professionali, senza obbligo di sentire il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene.
Infatti quest’articolo Art. 9 (Disposizioni sulle professioni regolamentate), fra l’altro, recita:
“1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
2. Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista e’ determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante. “
Quindi, dopo il D.L. n.1 del 2012, un documento che intende suggerire delle idee per agevolare il giornalista ad ottenere dal giudice un equo compenso, deve essere rivolto al ministero vigilante, che deve stabilire, sentite eventualmente tutte le parti interessate, ma senza obbligo alcuno, i parametri con i quali calcolare “una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro” svolto dal giornalista.
Si deve tener certo presente nel quadro normativo che oggi l’art 19 quaterdecies secondo comma del DL 148 del 2017 , convertito in legge con modifiche dalla legge 4 dicembre 2017 n. 172, ha esteso le disposizioni, per quanto compatibili, dell”art. 13 bis della legge 247 del 2012 (Equo compenso e clausole vessatorie) alle prestazione dei giornalisti.
Sembrano rilevanti per l’attività giornalistica autonoma, per evitare un ricorso alla definizione del giudice dell’equo compenso, le disposizioni del comma 3 dell’art. 9 del D.L. 1 del 2012, che recita:
“3. Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito al momento del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico e deve altresi’ indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività’ professionale. In ogni caso la misura del compenso, previamente resa nota al cliente anche in forma scritta se da questi richiesta, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. L’inottemperanza di quanto disposto nel presente comma costituisce illecito disciplinare del professionista.”
Ma quali possono essere i parametri con i quali può essere calcolata “una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro” per un lavoro giornalistico autonomo?
Ci risulterebbe che in passato vi sia stato un esempio di calcolo dell’equo compenso per un pubblicista basato sulla retribuzione media dei giornalisti a contratto. Questa retribuzione risultante per la singola ora, moltiplicata per le ore impiegate, ha dato un’indicazione che, a suo tempo, prima del D.L. 1 del 2012, fu accettata da un giudice.
Sarebbe stato accettato quindi in passato da un giudice come equo compenso una retribuzione proporzionata alla quantità del lavoro svolto dal giornalista ed alla qualità media contrattuale del lavoro svolto dagli altri giornalisti, senza considerazione alla qualità del lavoro specifico svolto da quel giornalista, come indicato dall’art. 36 della Costituzione.
Nasce certo il problema per il giornalista, in particolare pubblicista, che non abbia pattuito il compenso al momento del conferimento dell’incarico professionale, di determinare non tanto la quantità del lavoro, quanto la qualità del suo lavoro.
Per aprire il dibattito una domanda.
Per il pubblicista, che, oltre all’attività giornalistica, svolge un’altra attività, potrebbe essere il compenso che ottiene in quest’altra attività un punto di riferimento per il calcolo dell’equo compenso per la sua attività giornalistica come pubblicista?